Le variazioni del luogo di lavoro 2/3: Il trasferimento del lavoratore

Le variazioni del luogo di lavoro 2/3: Il trasferimento del lavoratore

Tra i poteri riconosciuti al datore di lavoro c’è anche quello di trasferire un lavoratore da una sede all’altra all’interno della stessa azienda.

Cos’è il trasferimento

La legge non fornisce una definizione precisa, ma la giurisprudenza (cioè l’insieme delle decisioni dei giudici) lo descrive come un cambiamento definitivo del luogo in cui il lavoratore svolge la propria attività. Questo cambiamento riguarda il passaggio da una sede (detta “unità produttiva”) a un’altra, purché appartenenti alla stessa azienda.

Due caratteristiche fondamentali del trasferimento:

  • Definitivo: non è temporaneo. Il lavoratore non ha una data di rientro nella sede precedente.
  • All’interno della stessa impresa: sia la sede di partenza che quella di destinazione devono appartenere alla stessa azienda. Questo lo distingue, ad esempio, dal distacco, in cui il lavoratore lavora temporaneamente per un’altra azienda.

Quando è possibile il trasferimento

Il trasferimento non può avvenire liberamente: secondo l’art. 2103 del Codice Civile, deve esserci una giustificazione valida, cioè motivi tecnici, organizzativi o produttivi. Questi motivi:

  • Devono essere oggettivi (non basati su preferenze personali).
  • Devono esistere nel momento in cui si decide il trasferimento.

In altre parole, il datore di lavoro non può decidere un trasferimento per capriccio o per punizione.

Comunicazione del trasferimento

Di norma, il trasferimento può anche essere comunicato oralmente, a meno che il contratto collettivo non richieda la forma scritta. Tuttavia, è sempre preferibile una comunicazione scritta, soprattutto per maggiore chiarezza.

Il datore non è obbligato a spiegare subito i motivi del trasferimento, ma se il lavoratore li chiede, è tenuto a fornirli e dimostrarli.

Tutele particolari

Alcune categorie di lavoratori hanno maggiori tutele in caso di trasferimento:

  • Rappresentanti sindacali aziendali
  • Persone con disabilità
  • Lavoratori che assistono familiari disabili
  • Amministratori di enti locali

 

 Indennità di trasferimento

Se il lavoratore è costretto a cambiare residenza o domicilio per il trasferimento, ha diritto a un’indennità economica e al rimborso di alcune spese.

Dal punto di vista fiscale, solo il 50% dell’indennità concorre alla formazione del reddito, entro questi limiti annuali:

  • € 1.549,37 per trasferimenti in Italia
  • € 4.648,11 per l’estero
  • € 6.197,48 se avvengono entrambi nello stesso anno

L’agevolazione vale solo per il primo anno.

Altri rimborsi possibili:

  • Spese di trasloco: rimborsabili se documentate.
  • Spese di viaggio per il lavoratore e i familiari.
  • Spese legate all’abitazione: come affitto, deposito cauzionale, allacci delle utenze, o penali per il recesso dal contratto di locazione, se documentate.

I contratti collettivi possono prevedere indennità aggiuntive.

In particolare:

  • Se il lavoratore non ha famiglia, ha diritto al rimborso del viaggio, del trasporto dei mobili e, in alcuni casi, della perdita del canone d’affitto.
  • Se ha famiglia a carico, anche i familiari hanno diritto al rimborso delle spese di viaggio e a una diaria (cioè un’indennità giornaliera), o al rimborso delle spese reali.

Le indennità sono pagate per il tempo strettamente necessario al trasferimento e al trasloco (fino a 8 giorni dopo l’arrivo del mobilio).

Quando il trasferimento è illegittimo

Il trasferimento è valido anche senza il consenso del lavoratore, ma deve rispettare i limiti di legge. Se mancano motivazioni valide, il lavoratore può opporvisi e impugnare il trasferimento.

Motivi per opporsi:

  • Non esistono motivi tecnici, organizzativi o produttivi.
  • Il datore non ha risposto alla richiesta di spiegazione.
  • Il trasferimento è fatto per punizione o discriminazione.
  • Viene violata la legge o il contratto collettivo.

 Come opporsi

Il lavoratore ha:

  • 60 giorni per contestare per iscritto il trasferimento.
  • 180 giorni per fare causa, oppure tentare la conciliazione o arbitrato. Se questi falliscono, ha altri 60 giorni per rivolgersi al giudice.

Se il trasferimento viene annullato dal giudice, il lavoratore ha diritto:

  • A tornare nella sede originale
  • A ricevere la retribuzione non percepita, se era disponibile a lavorare ma è stato lasciato a casa

Il rifiuto del trasferimento deve essere giustificato e non in mala fede. Il lavoratore deve mostrarsi disponibile a lavorare nella vecchia sede. In caso contrario, rischia di risultare assente ingiustificato.

Dimissioni per giusta causa: se il trasferimento è troppo lontano

Se il lavoratore viene trasferito in una sede che si trova:

  • a più di 50 km dalla residenza
  • oppure richiede più di 80 minuti con i mezzi pubblici

può dimettersi per giusta causa e ottenere la NASPI (l’indennità di disoccupazione), anche se il trasferimento è formalmente legittimo.

Questo vale se il cambiamento comporta un disagio significativo, ad esempio:

  • spese molto più alte per recarsi al lavoro
  • difficoltà a conciliare vita lavorativa e familiare
  • tempi di viaggio eccessivi

Secondo l’INPS (circolare n. 142/2012), il diritto alla NASPI esiste anche in caso di accordo tra lavoratore e datore per chiudere il contratto a causa del trasferimento.