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Le novità in materia di fringe benefit

Modifiche sono in arrivo in materia di fringe benefit.

In particolare, le novità riguardano la soglia di esenzione e le modalità di calcolo per la tassazione dei prestiti ai dipendenti.

Con il termine “fringe benefit” ci si riferisce ad un insieme di vantaggi erogati nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente, che si aggiungono al compenso contrattualmente previsto per la prestazione lavorativa.

Tali vantaggi aggiuntivi, costituiti da beni o servizi, possono essere fruiti dai dipendenti in forma gratuita o a un prezzo di favore, in conformità con quanto previsto dai contratti collettivi o per effetto di liberalità concesse dall’azienda a titolo di riconoscimento di meriti o di incentivi alla produttività.

Innanzitutto, occorre premettere che la non imponibilità, l’imponibilità forfettaria o quella totale dei “fringe benefit” ha valenza sia fiscale che contributiva, fermo restando che i contributi sociali obbligatori per norma di legge sono deducibili dal reddito imponibile ai fini Irpef.

I fringe benefit sono caratterizzati da una soglia di esenzione, il cui superamento ne comporta la tassazione.

A regime, la soglia di cui in oggetto è fissata ad euro 258,23, tuttavia per il 2023 il limite è stato fissato a 3.000 euro per i dipendenti con figli (compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati) fiscalmente a carico. Per fruire del maggior limite, il lavoratore doveva comunicare al datore di lavoro di avervi diritto indicando il codice fiscale dei figli, ai sensi dell’art. 40, D.L. 48/2023.

L’agevolazione in rassegna:

  • è riconosciuta in misura intera a ogni genitore, titolare di reddito di lavoro dipendente e/o assimilato, anche in presenza di un unico figlio, purché lo stesso sia fiscalmente a carico di entrambi.;
  • spetta anche nel caso in cui il contribuente non possa beneficiare della detrazione per figli fiscalmente a carico, di cui all’art. 12 del Tuir, poiché per gli stessi percepisce l’Assegno Unico e Universale.

Il D.D.L. di Bilancio 2024 cambia nuovamente le modalità di tassazione dei fringe-benefits.

L’articolo 6 del testo attualmente all’esame del Senato introduce, per l’anno 2024, tre livelli di esonero dall’Irpef, a seconda della tipologia di beneficio e a seconda del soggetto percettore.

In particolare, in deroga a quanto previsto dall’art. 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, Tuir, per il solo anno 2024, non concorreranno a formare il reddito di lavoro dipendente:

  • entro il limite complessivo di 1.000 euro, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento:
  1. delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale;
  2. delle spese per l’affitto della prima casa;
  3. per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.
  • i limiti di cui sopra sono elevati a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, a carico dei predetti lavoratori.

Rimane fermo che, se il valore di quanto erogato supera gli importi di cui sopra, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.

La seconda novità, in verità molto attesa, concerne, invece, le modalità di calcolo da applicare per la tassazione dei prestiti concessi ai dipendenti.

La determinazione dei fringe benefit costituiti da concessione di prestiti è disciplinata dall’art. 51, comma 4, lettera b), Tuir, il quale prevede che, in caso di concessione di prestiti, si assuma il 50% della differenza tra:

  • l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento (TUR) vigente al termine di ciascun anno e;
  • l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi.

Il nuovo comma 3-bis, dell’articolo 8, D.L. 143/2023 (convertito in via definitiva in data 13.12.2023) risponde alla necessità di differenziare le modalità di calcolo, a seconda che il prestito sia stato erogato con l’applicazione di un tasso variabile ovvero di un tasso fisso.

In particolare, dispone che “in caso di concessione di prestiti si assume il 50 per cento della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di scadenza di ciascuna rata, o, per i prestiti a tasso fisso, alla data di concessione del prestito, e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi”.

Resta, quindi, ferma la modalità generale di calcolo del fringe benefit, pari al 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al TUR e l’importo degli interessi calcolato al tasso effettivo, ma viene distinto il TUR da prendere in considerazione:

  • per i prestiti a tasso variabile, il TUR di riferimento è quello vigente alla data di scadenza di ciascuna rata;
  • per i prestiti a tasso fisso, il TUR di riferimento è quello alla data di concessione del prestito.

La modifica in parole è, tra l’altro, valida già per il 2023 per cui, se nel corso di quest’anno sono state operate ritenute in misura superiore rispetto a quelle effettivamente dovute, per effetto della nuova disciplina potrebbe essere necessario un conguaglio.

 

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